Fotografia astronomica:
i concetti generali

Gianluca Li Causi

Novembre 1998

 

La fotografia astronomica è un campo tra i meno conosciuti e divulgati, perché ancora classificato nella categoria della fotografia tecnica e specialistica, al pari della microfotografia, della fotografia meccanica, o della fotografia infrarossa.

In realtà, rispetto a questi campi prettamente professionistici, essa si presta molto bene ad essere messa in pratica senza particolari strumentazioni: la sola macchina fotografica montata sul treppiede già permette di creare ottime immagini panoramiche delle costellazioni, quindi non è vero che con attrezzature costose si ottengono necessariamente i risultati migliori: ciò che importa è conoscere la tecnica.

La differenza fondamentale che separa le tecniche dell’astrofotografia da quelle della fotografia tradizionale è la bassa luminosità del soggetto: l’astrofotografo si trova a dover riprendere il cielo notturno, senza tuttavia poterlo illuminare in alcun modo e questo cambia tutto.

Le pellicole che si trovano in commercio vengono fabbricate in base alle esigenze del vasto pubblico e cioè per foto diurne, in luce artificiale, sportive, ma non certo astronomiche.

Se il soggetto da riprendere è poco luminoso e non possiamo illuminarlo con un flash, possiamo fare due cose: prendere una pellicola particolarmente sensibile, oppure esporla per un tempo molto lungo. Visto che la prima possibilità è limitata dalla scelta delle case produttrici, i tempi di posa caratteristici dell’astrofotografia varieranno tra i minuti e le ore, invece che tra il millisecondo e il secondo come avviene per le foto normali. Questo è possibile perché la pellicola, contrariamente all’occhio umano, è additiva: se di notte non riesco distinguere un oggetto non riuscirò a vederlo neanche se lo fisso per molto tempo, mentre con la pellicola fotografica se non si ottiene un’immagine con una posa di un secondo si potrà certamente ottenerla con un’esposizione più lunga; la pellicola può infatti registrare in continuazione la luce che la colpisce, addizionandone l’effetto a quello della luce che ha assorbito in precedenza.

Quando si scatta un’istantanea, un apposito otturatore presente all’interno della macchinetta si apre in un attimo lasciando che la luce colpisca la pellicola, ma si richiude dopo una frazione di secondo per evitare una eccessiva illuminazione. Molte macchine fotografiche tuttavia (quasi tutte quelle manuali) sono fatte in modo che noi stessi possiamo decidere quando richiudere l’otturatore; possiamo quindi esporre anche per parecchie ore, durante le quali la pellicola resta lì a ricevere la debole luce del paesaggio notturno.

Il minimo requisito, l’unico davvero indispensabile, è dunque avere una macchina fotografica manuale in cui, sulla manopolina per scegliere il tempo di posa, sia selezionabile la cosiddetta posa “B”, o “T” per i modelli più antichi (figura 1).

Una cosa è tentare di fotografare la cometa Hale-Bopp con la “Kodak Fun” e, assurdamente, far scattare il flash, come mi è capitato di vedere in una serata per la cometa su un noto colle di Roma (del resto così era stato consigliato dal telegiornale...), altra cosa è andare sotto un cielo scuro e usare una posa di ben 12 minuti con una pellicola ad alta sensibilità: la figura 2 parla chiaro.


Fig. 1: Selettore dei tempi di posa in una macchina fotografica reflex: si nota la “posa B”.


Fig. 2: Confronto tra una foto istantanea della Hale-Bopp e una vera ripresa astronomica
effettuata da Campo Felice (AQ) con l’attrezzatura e la pellicola adatte (foto dell’autore)

 

La sensibilità delle pellicole

La sensibilità di una pellicola si misura in unità chiamate “ASA”, “ISO” e “DIN”. La scala ASA (American Standards Association) è una scala lineare, il che vuol dire che se una pellicola ha un valore in ASA doppio di un’altra la sua rapidità è doppia, cioè può fare la stessa foto con metà tempo di posa. La scala DIN (Deutshe Industrie Norm) segue invece un andamento logaritmico e la relazione tra le due è illustrata nella tabella in figura 3. Il nuovo sistema internazionale adottato attualmente si chiama ISO (International Standardizing Organization), e altro non è se non la specifica di citare entrambi i valori ASA e DIN della pellicola in un’unica scrittura, per esempio: ISO 400/27° vuol dire 400 ASA e 27 DIN.

 

Sensibilità

ASA

DIN

ISO

Bassa

25 - 50

15 - 18

25/15° - 50/18°

Media

100 - 200

21 - 24

100/21° - 200/24°

Alta

400 - 800

27 - 30

400/27° - 800/30°

Altissima

1000 - 3200

31 - 36

1000/31° - 3200/36°

Fig. 3: Tabella dei valori ASA e DIN delle pellicole fotografiche.

 

Ma come valutare questi numeri? Le tipiche pellicole per uso astronomico sono quelle di alta e altissima sensibilità, con valori compresi tra 400 ASA e 3200 ASA, le più comuni delle quali attualmente sul mercato hanno nomi come “ScotchChrome 400”, “ScotchChrome P 800-3200”, “Royal 1000”, “Ektapress 1600”, “ProGold 400”, “FujiColor 1600”, “Fuji Super HG 400”, “Panter X 1600”, “PJM II 640”, “T-Max 3200”, ecc.

Sotto ai 400 ASA si parla invece di pellicole di media e bassa sensibilità, come quelle per uso comune, che tuttavia possono anche essere usate in astronomia per alcuni tipi di foto: tra di esse la “ScotchChrome 100”, la “EktaChrome E 100 SW”, la “Fuji Velvia 50”, la “Gold II 100 o 200”, i cui usi specifici saranno spiegati più avanti nel nostro corso.

Ci si potrebbe chiedere, per avere un paragone, che valore assume su queste scale la sensibilità dell’occhio umano. In realtà la rétina non ha una sensibilità fissa, ma si adatta all’illuminazione della scena che sta osservando: per questo è possibile vedere distintamente sia un’abbagliante scena sulla neve a mezzogiorno, sia il cielo buio di una notte in alta montagna, anche se la differenza di illuminazione tra i due casi è di ben 5 milioni di volte.

Nelle condizioni notturne l’occhio umano è di gran lunga più sensibile di qualsiasi pellicola fotografica. Se vogliamo avere una stima della sensibilità che dovrebbe avere una pellicola per eguagliare le capacità dell’occhio in visione notturna, un semplice calcolo ci dà l’enorme valore di 450 000 ASA! Infatti l’esperienza ci dice che una tipica esposizione di 3 minuti su una pellicola da 100 ASA mostra all’incirca lo stesso numero di stelle visibili ad occhio nudo: poiché un “fotogramma” della rétina dura al massimo 1/25 di secondo, questo significa che la rétina è almeno 4500 volte più sensibile della pellicola (180 secondi / (1/25) di secondo = 4500). Per questo non si ottiene nulla con una comune macchina automatica, nonostante che ad occhio la Hale‑Bopp sia ben visibile.

Ci sono altre due differenze fondamentali tra l’occhio umano e la pellicola che bisogna conoscere, soprattutto se già si ha la passione dell’osservazione visuale: la prima, a favore dell’osservazione, è la rapidità e flessibilità dell’occhio nel riconoscere i particolari sfuggenti delle immagini planetarie, che solo per brevi attimi non sono disturbate dalla turbolenza dell’atmosfera. Basta paragonare un disegno di Giove eseguito con un telescopio molto piccolo, con una fotografia scattata col famoso Meade 2080, tre volte più potente, per rendersi conto del vantaggio dell’occhio (figura 4). La seconda differenza, questa volta a vantaggio della fotografia, è la capacità della pellicola di registrare i colori che nell’occhio è del tutto assente in condizioni di bassa luminosità. Lo si può vedere guardando attentamente un paesaggio notturno in una serata senza Luna: si vedono bene le differenze tra le zone chiare e scure, per esempio tra un prato e una distesa di neve, ma il colore è difficilmente distinguibile. Lo stesso accade per i soggetti astronomici, come la Nebulosa di Orione, che appare bianca e scevra di dettagli se osservata visualmente, mentre in fotografia è uno degli oggetti più colorati del cielo (figura 5).


Fig. 4: Un disegno di Giove eseguito dall’autore con un Newton 76/700 mm confrontato
con una fotografia fatta con un Meade 2080 (foto di Alessandro Vannini)

 


Fig. 5: a) La Nebulosa di Orione M42 (foto di Fabiano Ventura); b) Un disegno dell’autore
che ritrae la stessa nebulosa osservata dai cieli del Gran Sasso

 

Cosa si può e cosa non si può fotografare

Prima di addentrarmi nella spiegazione delle varie tecniche per fotografare questo o quell’oggetto celeste, vorrei mostrare una panoramica di ciò che possiamo attenderci dalla fotografia astronomica amatoriale.

Innanzi tutto è bene chiarire che non potremo in nessun caso gareggiare con le foto dei Voyager o con quelle del Telescopio Spaziale, come qualcuno evidentemente pensa quando mi dice che di foto di Giove ne ha viste di migliori sul quotidiano del giorno prima: il paragone semplicemente non ha senso, visto che si tratta non solo di campi completamente diversi (foto dallo spazio e foto dalla Terra), ma perfino di scienze diverse (fotografia su pellicola e immagine elettronica). Anzi, per essere più precisi, si commette l’errore di confrontare un’espressione artistica con un mezzo di indagine scientifica. Per noi un confronto del genere può servire soltanto a misurare le massime potenzialità della nostra strumentazione, raggiunte le quali il nostro hobby sarà creare immagini sempre nuove di volta in volta dal diverso sapore estetico.

Mostriamo allora alcune immagini tipiche che illustrano lo stato attuale delle possibilità offerte al dilettante. Per la fotografia planetaria, la risoluzione del telescopio e soprattutto la turbolenza atmosferica non permettono di ottenere grandi risultati, anche se con le tecniche giuste possiamo agevolmente ammirare le bande di Giove e perfino i loro particolari anche con i più comuni telescopi degli astrofili (figura 4).

Analogamente si distinguono bene i dettagli dei crateri lunari: nella figura 6a il terminatore della Luna al primo quarto è stato ripreso col telescopio riflettore più piccolo tra quelli che si trovano in commercio: un Newtoniano di soli 7 centimetri e mezzo di apertura; in realtà con questo strumento si potrebbe ottenere anche di meglio. Per confronto in figura 6b vediamo i crateri Theofilus e Fracastorius ripresi al meglio delle potenzialità di un Meade 2080: questa foto ad alto ingrandimento è stata scattata in un momento di turbolenza molto ridotta e con una pellicola di bassa sensibilità: la nitidezza dei dettagli è dovuta a molti fattori, quali la perfezione dell’allineamento ottico, della messa a fuoco e dell’elettronica di inseguimento del telescopio e mostrano quanto di meglio ci si può aspettare da uno strumento di questo tipo.


Fig. 6: a) La superficie lunare fotografata da un Newtoniano 76/700 mm  (foto dell’autore); b) Foto particolarmente dettagliata dei crateri Fracastorius (in alto a sinistra) e Theofilus (in basso al centro) eseguita con un Meade 2080 (foto di Alessandro Vannini)

 

Le migliori fotografie al mondo delle nebulose e delle galassie, quelle che si vedono appunto in televisione e sui giornali, sono frutto dell’esperienza di David Malin, tecnico della fotografia all’Osservatorio Anglo-Australiano, e sono tutte ottenute senza il ricorso all’elaborazione digitale. Le sue foto rappresentano lo stato dell’arte per la fotografia astronomica e costituiscono, per tutti gli appassionati, un riferimento ineguagliabile al quale in molti cercano di avvicinarsi (figura 7a).

Mantenendo valido il discorso precedente, c’è da riconoscere che gli astrofili più bravi, proprio grazie all’utilizzo di alcune delle tecniche studiate da Malin, combinate con la disponibilità sul mercato di nuove pellicole, riescono ad avvicinarsi notevolmente a quei risultati professionali, come ci mostra la bellissima immagine della nebulosa “Testa di Cavallo” in figura 7b, ripresa su pellicola Kodak PJM II con un telescopio newtoniano da 20 cm autocostruito.

Rispetto agli osservatori professionali tuttavia, noi dilettanti disponiamo di strumentazione più portatile e possiamo andare a cercare i cieli migliori sotto i quali lavorare e i nostri modesti strumenti possono inquadrare estese porzioni di cielo per riprendere la Via Lattea o un’intera costellazione, magari in composizione con un bel paesaggio terrestre (figura 8).

Nei prossimi articoli approfondiremo la conoscenza della strumentazione e delle tecniche, cominciando dalle foto stupende che si possono fare con il solo aiuto di una reflex e di un piccolo treppiede.

 


Fig. 7: a) Nebulosa Testa di Cavallo in una foto di David Malin (Copyright AAO); b) La stessa nebulosa ripresa con un Newtoniano da 200/1200 mm (foto di Fabiano Ventura)

 


Fig. 8: Fotografia a largo campo della Via Lattea tra le costellazioni del Cigno e  del Cefeo  (foto dell’autore)