Fotografare i paesaggi notturni

Gianluca Li Causi

Dicembre 1998

 

La fotografia astronomica, man mano che passa il tempo, si sta trasformando in un’attività altamente tecnologica, per la quale non basta più soltanto imparare a conoscere e maneggiare una macchina fotografica e i suoi accessori di sempre, come obiettivi, treppiedi e scatto flessibile. L’astrofilo che vuole avvicinarsi per la prima volta a questo campo, sa che avrà presto a che fare con montature equatoriali, pulsantiere computerizzate, sensori CCD, scanner, calcolatori, stampanti, e chi più ne ha più ne metta.

Ci sono effettivamente moltissime tecniche nel campo dell’astrofotografia, ma nessuna di queste, per quanto sia potente e raffinata, può sostituirsi alla creatività del fotografo. Come mostreremo in questo articolo, una macchina reflex e un treppiede sono sufficienti per registrare delle immagini artistiche del paesaggio notturno, così come siamo abituati a vederlo dai nostri siti di osservazione.

Chiudete gli occhi e richiamate alla memoria, o immaginate con la fantasia, l’atmosfera di una gelida notte invernale su un altopiano circondato da vette rocciose, l’aria secca e cristallina che vi permette di vedere distintamente i dettagli dell’orizzonte lontano, il silenzio quasi irreale che avvolge ogni cosa e sopra di voi la Via Lattea che risplende in un cielo terso e gremito di stelle, mentre Sirio è appena sorta ad Est su un manto di nuvole bianche. Non riuscirete a immortalare queste stupende visioni usando il telescopio più potente del mondo, ma potrete farlo con la più semplice delle reflex e un modestissimo treppiede che la sostenga (figura 1).

La fotografia di paesaggi notturni è, nel campo dell’immagine astronomica, l’unica in cui si possono ottenere eccellenti risultati senza disporre di attrezzature specifiche: è sufficiente avere una macchina di tipo reflex, anche senza alcun automatismo, un cavetto flessibile per lo scatto e un obiettivo normale o grandangolare. Ciò che ne delinea le caratteristiche specifiche è un’osservazione fondamentale: poiché la Terra gira su sé stessa, le stelle, così come fa il Sole di giorno, sembrano muoversi nel corso della notte da Est a Ovest, come se ruotassero intorno alla stella Polare, compiendo un giro in 24 ore. Ma questo è un problema: nell’ultima lezione abbiamo visto che per le foto astronomiche sono necessari lunghi tempi di esposizione, eppure già pochi minuti di rotazione sono sufficienti per lasciare un mosso sulla pellicola. Il trucco sta quindi nel conciliare il tempo di posa con la rotazione terrestre, scegliendo al contempo le condizioni di illuminazione opportune per ottenere una giusta esposizione prima che la pellicola abbia il tempo di accorgersi del movimento delle stelle.

 


Fig. 1: “Orione e Sirio su Campo Imperatore”, 24 Ottobre 1996, Campo Imperatore (AQ) (foto dell’autore).
Obiettivo grandangolare da 28mm aperto ad F/2.8; pellicola Konika Chrome 100; tempo di posa 90 secondi.

 

La tecnica

Per riuscire nel nostro intento dobbiamo raccogliere la maggior quantità di luce possibile in un tempo abbastanza breve da non creare un mosso visibile sulla nostra foto. Il fatto che ciò sia possibile si deve alla struttura dell’emulsione fotografica: essa infatti è costituita da innumerevoli minuscole particelle, particolarmente visibili negli ingrandimenti nei quali l’immagine presenta sempre un aspetto un po’ granuloso. Questa granulosità, detta in gergo “grana”, determina la risoluzione della pellicola, cioè la sua capacità di mostrare ancora distinti due particolari molto vicini tra loro. Se le immagini di due oggetti lontani, all’orizzonte di un paesaggio, sono più vicine delle dimensioni della grana, la pellicola confonderà quei due oggetti in uno solo. Lo stesso avviene per il mosso delle stelle: se alle dimensioni miscroscopiche della grana i dettagli si confondono, allora l’immagine di una stella mossa di poco è perfettamente uguale a quella di una stella ferma. Il tempo limite per cui il mosso è tollerabile si calcola con delle semplici formule di ottica, ma per evitare di complicare il discorso i risultati sono esplicitamente mostrati nella tabella in figura 2.

 

 

Sensibilità della pellicola

Obiettivo

Bassa

25-50

Media

100-200

Alta

400-800

Altissima

1000-3200

16 mm (fish-eye)

30 sec.

45 sec.

60 sec.

80 sec.

24 mm (grandangolo)

20 sec.

25 sec.

38 sec.

50 sec.

50 mm (normale)

12 sec.

16 sec.

22 sec.

35 sec.

Fig. 2: Tempi di posa limite per obiettivi da 50, 24 e 16 mm con pellicole da 100 a 3200 ASA.

 

La prima cosa da notare, leggendo la tabella, è che se usiamo obiettivi di focale minore possiamo esporre per un tempo più lungo. La focale degli obiettivi è infatti legata direttamente all’ampiezza della scena fotografata: gli obiettivi fish‑eye ad esempio, che hanno focali intorno ai 15 millimetri, inquadrano fino a 120 ‑ 180 gradi da un angolo all’altro della foto e perfino un mosso stellare di mezzo grado (corrispondente a 2 minuti di posa) è così piccolo che si nota appena sulla stampa finale, mentre già con gli obiettivi cosiddetti normali, con focali tra 35 e 55 mm, non possiamo superare il mezzo minuto.

La seconda cosa da notare sulla tabella è che il tempo minimo aumenta se usiamo pellicole ad alta sensibilità. La grana delle pellicole infatti dipende strettamente dalla loro capacità di raccogliere luce, perciò le più sensibili hanno una grana più grossa di quelle usuali da 100 ASA e dunque con queste pellicole possiamo tollerare un mosso più lungo. Tuttavia la grana grossa non è una caratteristica molto apprezzata in una foto in quanto ne diminuisce la definizione, specialmente se i livelli di luminosità sono bassi, come avviene nel nostro caso. La soluzione migliore è piuttosto quella di usare una pellicola con grana fine unitamente a un obiettivo molto luminoso.

La cosiddetta luminosità di un obiettivo fotografico esprime la sua capacità di concentrazione della luce e si misura dal rapporto tra la lunghezza focale e il diametro del diaframma. Questo numero è indicato sulla ghiera dei diaframmi (figura 3), che è un anello di regolazione posto sull’obiettivo al fine di limitare la quantità di luce secondo la seguente scala di valori standard: 1.4, 2, 2.8, 4, 5.6, 8, 11, 16, 22. In questa scala un numero alto corrisponde a un diaframma stretto e un numero basso a un diaframma aperto; il più piccolo di questi numeri ci dice perciò la massima apertura di cui l’obiettivo è capace, ovvero la sua luminosità: per esempio quando si parla di un “30 mm F/4” ci si riferisce ad un obiettivo da 30 mm di focale con apertura massima di 4, cioè mediamente luminoso. La scala dei diaframmi è fatta in modo che l’intervallo tra due valori consecutivi corrisponda ad una differenza di 2 volte nella luminosità; è dunque evidente il vantaggio di usare obiettivi con piccoli numeri di diaframma: un obiettivo F/1.4 fa la stessa foto di un F/2 nella metà del tempo di posa, o consente l’utilizzo di una pellicola sensibile la metà, che ha una grana più fine.


Fig. 3: La ghiera dei diaframmi è uno degli anelli di regolazione presenti sugli obiettivi fotografici: ad ogni diaframma corrisponde un raddoppiamento o dimezzamento della luce raccolta dall’obiettivo.

Purtroppo gli obiettivi buoni di alta luminosità sono anche molto costosi, l’apertura massima dipende infatti dalla grandezza delle lenti e dalla perfezione del progetto ottico, ma sono sicuramente un buon investimento per la fotografia astronomica.

Riepilogando: per le foto di notturni astronomici useremo obiettivi molto luminosi e di corta focale e prediligeremo la pellicola di grana più fine tra quelle di media sensibilità di volta in volta disponibili sul mercato. Infine, poiché spesso accade di trovarsi su terreni accidentati, è consigliabile l’uso di un treppiede che abbia la possibilità di orientare la macchina fotografica su vari assi in modo da avere un completo controllo sull’inquadratura e che inoltre sia ben solido per non vibrare al primo soffio di vento.

 

Il soggetto

Vediamo quali possono essere i soggetti migliori per questo tipo di foto. Possiamo prendere la foto che apre questo articolo (fig. 1) come esempio: la costellazione di Orione e la stella Sirio sono state riprese con un grandangolare da 28mm alla sua massima apertura di F/2.8 con un tempo di posa di 1 minuto e mezzo e la pellicola usata è la diapositiva Konika Chrome 100. In questa foto il tempo di posa limite della tabella 1 è stato superato per compensare la poca sensibilità della pellicola a disposizione, considerando che la sua grana è un po’ superiore a quella tipica dei 100 ASA, caratteristica questa di tutte le pellicole della Konika, il piccolo mosso che ne deriva, come si vede, è perfettamente tollerabile. Un’esposizione di un minuto e mezzo non permette tuttavia di registrare su una 100 ASA tutte le stelle visibili ad occhio nudo, eppure l’immagine non sembra soffrire della loro mancanza: il motivo è che il fondo cielo stesso contribuisce in questa foto agli elementi della composizione. Esso infatti non è nero e uniforme, al contrario è piuttosto chiaro per una foto astronomica e schiarisce ancora verso l’orizzonte digradando fin quasi al bianco a causa dell’illuminazione della Luna piena, che si trovava dalla parte opposta del cielo, prossima al tramonto. La stessa luce della Luna illumina anche l’altopiano e le nuvole in lontananza dando la giusta sensazione di “tridimensionalità” che si aveva a occhio nudo. Senza la Luna piena la stessa foto avrebbe mostrato soltanto le costellazioni sovrapposte ad un fondo uniformemtne nero nel quale non si sarebbe affatto distinto nè cielo nè paesaggio.


Fig. 4: “Tramonto del Cigno”, Campo Imperatore (AQ) (foto dell’autore).
Obiettivo grandangolare da 28mm aperto ad F/2.8 pellicola ScotchChrome 100; tempo di posa 60 secondi.

 

Questa tecnica è stata usata anche per la figura 4: qui si voleva riprendere il tramonto del Cigno dietro il massiccio roccioso del Corno Grande osservato dalla piana di Campo Imperatore durante una notte di Luna piena. Un piccolissimo laghetto, del diametro di appena una cinquantina di metri, riflette il massiccio e la costellazione ed è stato l’elemento più critico della foto: bastava infatti un debole alito di vento per incresparne la superficie e cancellare l’immagine riflessa; inoltre l’acqua non è certo uno specchio perfetto e la costellazione riflessa era appena visibile. In questi casi occorre abbassare al massimo il treppiede, o meglio ancora usare uno di quei  piccoli tripodi da tavolo, per mettersi il più radente possibile al pelo dell’acqua e aspettare che la costellazione sia molto bassa sull’orizzonte: la riflettività dell’acqua infatti è migliore quanto più l’angolo di riflessione è  piccolo. Anche in questo caso l’obiettivo, il tempo di posa e la pellicola sono simili alla foto precedente.

Una diversa fonte di illuminazione naturale in grado di schiarire il paesaggio e il cielo è la luce del crepuscolo o dell’aurora. Anche qui, come nel caso della Luna, il tempo di posa va limitato non solo in funzione del mosso delle stelle, ma anche della luminosità del cielo: usare pellicole molto sensibili allo scopo di vedere più stelle nel poco tempo di posa a disposizione potrebbe portare a sovraesporre il fondo cielo, che invece deve sempre avere dei toni scuri. Se il cielo è troppo chiaro, si dà l’impressione di un paesaggio diurno sul quale, stranamente, ci sono anche le stelle, mentre lo scopo dei notturni astronomici è proprio quello di riproporre le sensazioni della notte così come le percepiamo sotto la volta stellata. Vediamo allora la figura 5, scattata nel momento in cui la luce dell’aurora cominciava a colorarsi di rosso a livello dell’orizzonte, mentre il cielo allo zenith era ancora scuro e pieno di stelle. Il luogo della foto non è casuale ed è, tra quelli in cui mi è capitato di fotografare il cielo, sicuramente il più inquietante e rappresentativo di tutti: l’interno di una cattedrale gotica in rovina in cui manca completamente il tetto e le stelle si affacciano dalle vuote arcate delle vetrate. Forse la stampa non lo rende, ma la proiezione della diapositiva originale trasmette tutto questo in modo perfetto, aiutata dalla ripresa dal basso che rende molto bene il concetto dell’arte gotica: rapire lo sguardo per portarlo verso il cielo. Per foto di questo tipo è sempre preferibile la diapositiva al negativo, sia perché la sua stampa accentua un poco i deboli contrasti del paesaggio notturno, sia perché può essere ammirata proiettandola in grande sulla parete di una stanza buia.


Fig. 5: “Gotico”, S. Galgano (SI), 22 Agosto 1998 (foto dell’autore).
Obiettivo 28mm F/2.8; posa 15 secondi; pellicola EktaChrome E 100SW.

 

Per le immagini in cui il cielo è illuminato dall’aurora non è possibile dare delle indicazioni precise sui tempi di posa, poiché il fenomeno è così rapidamente variabile che, sia la luminosità totale, sia il contrasto delle stelle col fondo cielo cambiano moltissimo nel giro di pochi minuti. La cosa migliore in tali casi è scattare tre esposizioni a forcella: si scatta, in base all’esperienza, con la posa che dovrebbe andar bene e in più se ne fanno altre due con tempi di posa rispettivamente la metà e il doppio di quello stimato. L’originale della foto in figura 5 è un po’ scuro: il tempo di posa giusto sarebbe stato di 45 secondi, con 100 ASA ed F/2.8.

Se non c’è una fonte di luce naturale, il paesaggio potrebbe essere rischiarato da un’illuminazione elettrica, ma in questo caso l’accostamento con una costellazione è possibile soltanto se le luci sono molto basse e la costellazione è formata da stelle brillanti (figura 6), altrimenti viene inevitabilmente sovraesposto. Purtroppo il confronto tra la luce artificiale e quella stellare è sempre a vantaggio della prima e la pellicola è incapace di esporre giustamente entrambi i soggetti, per questo è molto difficile fotografare le stelle insieme alle “costellazioni” terrestri.


Fig. 6: “Monteriggioni e il Grande Carro”, Monteriggioni (SI), 20 Agosto 1998 (foto dell’autore).
Obiettivo 50mm F/2.8, posa 25 secondi su EktaChrome E 100SW.

 

L’inquadratura e la composizione

Una delle cose più difficili nella fotografia dei notturni è l’inquadratura: solitamente il vetrino smerigliato, su cui si forma l’immagine che vediamo nell’oculare della macchina reflex, non è abbastanza chiaro da mostrare la debole luce stellare, perciò quando dobbiamo decidere l’inquadratura, dobbiamo avere molta pazienza e dare all’occhio il tempo di riconoscere almeno le stelle più luminose con le quali ci orienteremo per inquadrare tutta la costellazione. Come regola generale è bene porre molta attenzione a questa fase per evitare che alcune costellazioni vengano tagliate  dal bordo dell’immagine a nostra insaputa. Molta attenzione deve esser posta anche nel parallelismo tra l’orizzonte e il bordo del fotogramma: se la scena fosse troppo scura potremmo aiutarci con una livella a bolla precedentemente fissata al corpo della macchina fotografica.

La composizione e l’inquadratura giocano in questo tipo di foto un ruolo molto importante: in base al paesaggio decideremo anzitutto se dedicare una maggiore area del fotogramma al cielo o al soggetto terrestre, ricordando che se non c’è la Luna quest’ultimo verrà in generale piuttosto scuro. Personalmente preferisco sempre mantenere l’orizzonte al di sotto di metà del fotogramma, diciamo ad 1/3 dal bordo inferiore, ma questo dipende dal soggetto in primo piano. Il centro dell’immagine inoltre deve essere messo in modo tale che gli elementi del paesaggio non producano figure troppo simmetriche, ma al tempo stesso che le varie parti della composizione siano “bilanciate”: per esempio in figura 4 il Corno Grande è  spostato a destra per evitare un’eccessiva simmetria, mentre il pendio di una montagna più vicina riempie lo spazio rimanente sulla sinistra; anche l’orizzonte è basso per addolcire la simmetria dell’immagine speculare prodotta dal laghetto.

Ancora due suggerimenti che valgono in generale per tutti i tipi di fotografia astronomica: anche se il cavalletto è stabile è bene usare sempre un cavetto flessibile per lo scatto, il quale evita di toccare direttamente il corpo macchina e permette di mantenere la posa B con un apposito blocco. Inoltre, ogni volta che si usa la posa B è meglio togliere le batterie dell’esposimetro: in molte macchine infatti la luce dell’indicatore di esposizione, che rimane accesa nell’oculare per tutto il tempo della posa, filtra all’interno del corpo macchina fino ad arrivare sulla pellicola rovinando del tutto la foto.

 

 

QUADRO RIASSUNTIVO

 

·      Strumentazione: obiettivi con focale minore di 50 mm e più luminosi di F/4; treppiede stabile con 2 o meglio 3 assi per l’orientamento della macchina fotografica; cavetto flessibile con blocco per la posa B.

·      Pellicole: media sensibilità (100 - 400 ASA), preferibilmente diapositive.

·      Tempi di posa: secondo la tabella in figura 2 se vogliamo le stelle perfettamente puntiformi, oppure fino a 2‑3 volte i tempi della tabella se tolleriamo un leggero mosso. Il tempo migliore va scelto in base alle condizioni di illuminazione, meglio eseguire tre foto a forcella.

·      Illuminazione: sfruttare di preferenza le sorgenti naturali come la luce della Luna, del crepuscolo e dell’aurora; un’atmosfera molto trasparente permette un miglior contrasto tra le stelle e il cielo illuminato ed anche una più vasta gamma di colorazioni del cielo. Non fotografare con la Luna piena se la pellicola scelta è molto sensibile: sarà meglio la Luna al primo quarto.

·      Inquadratura: porre molta attenzione all’orizzontalità dell’inquadratura, di notte non è facile riconoscerla attraverso il vetrino smerigliato della reflex; controllare che gli elementi del paesaggio e le costellazioni siano posizionati in modo bilanciato e, al contempo, evitare le simmetrie (a meno che queste non siano lo scopo della foto).

·      Accorgimenti particolari: togliere le pile dell’esposimetro!