Come ottenere delle buone stampe astronomiche
dai laboratori commerciali

Gianluca Li Causi

Ottobre 1998

 

Sono molti gli astrofili alle prime esperienze che, dopo aver provato e riprovato a fotografare il cielo, si ritrovano tutt’ora insoddisfatti e con un sacco di vecchie stampe in fondo al cassetto. Come iniziare meglio, dunque, a spiegare la fotografia astronomica se non cominciando subito a capire che cosa non ha funzionato fino adesso?

La buona riuscita di una fotografia astronomica non dipende solamente dall’abilità dell’astrofilo, ma anche dalla competenza del laboratorio fotografico al quale si richiedono le stampe degli originali. Raramente i laboratori commerciali riescono a stampare subito una fotografia astronomica nel modo corretto: più spesso le loro stampe hanno delle forti dominanti cromatiche che rendono il fondo cielo verde o rossiccio, o molto più chiaro di come ce lo aspettiamo.

Questo fatto ha però delle gravi conseguenze: più di una volta mi è capitato di incontrare degli appassionati alle prime armi che, delusi dai risultati, avevano deciso di abbandonare l’astrofotografia, ritenendo di non essere all’altezza di una materia “così difficile”; invece la colpa non era loro, ma del laboratorio da cui si servivano!

Un esempio valga per tutti: quando ero ancora agli inizi ho fatto una foto della costellazione di Orione su pellicola Kodak Ektar 1000: il negativo sembrava buono, eppure dallo stesso negativo, andando in negozi differenti, ho ottenuto stampe totalmente differenti tra loro. Uno di questi ha completamente sottoesposto l’immagine (fig. 1a): si vedono le stelle principali ma è scomparsa ogni traccia di nebulosità; mentre un altro mi ha dato un cielo verde-azzurro (fig. 1b) e un’altro ancora del tutto marrone (fig. 1c)! Qual’è dunque il vero colore del fondo cielo registrato dalla mia pellicola, e qual’è l’esposizione che ho realmente fatto: le due ultime sembrano addirittura sovraesposte.

a b c

Fig 1a, 1b, 1c:  Stampe della stessa fotografia di Orione fatte da diversi laboratori.

 

E’ chiaro quindi che non potremo mai migliorare le nostre capacità fotografiche basandoci su stampe del genere. Andando da un laboratorio penseremo di aver fatto una foto sottoesposta, e saremo così portati a sovraesporre la volta successiva, mentre un altro laboratorio ci farà pensare che sia sovraesposta e che quindi dovremmo esporre di meno; entrambe le situazioni sono errate.

Il problema dei servizi commerciali, quelli economici come quelli professionali, è che l’esposizione in fase di stampa viene calcolata in modo automatico, ma come sappiamo le foto astronomiche contengono sempre molto fondo cielo, in media sono molto scure, perciò l’esposimetro della macchina selezionerà tempi più alti o piu bassi (a seconda che l’originale sia una diapositiva o un negativo) in modo da compensare questa presunta sottoesposizione e ottenere comunque una riproduzione di media luminosità. Così facendo tuttavia il fondo cielo viene necessariamente chiaro, e la foto poco contrastata.

Il problema persiste quando andiamo a lamentarci di tutto ciò dal nostro stampatore, facendogli notare che la stampa è troppo chiara e che noi vogliamo il fondo cielo nero; in particolare tentiamo di spiegare che vogliamo una stampa non corretta automaticamente, ma esattamente “così com’è sul negativo”, e ci sentiamo rispondere che “il negativo non è come la diapositiva: esso non ha dei colori propri”, o che “non si può chiedere di volere i colori come sono sul negativo, poiché il colore dipende esclusivamente dalla filtratura data in fase di stampa”! Eppure questa risposta suona molto strana alle nostre orecchie: non abbiamo forse fotografato il cielo proprio per vedere i colori e le luminosità reali degli oggetti inquadrati? Altrimenti a che servirebbe la fotografia? Quando noi diciamo “colori e densità così come sono sul negativo” intendiamo che sulla stampa dovrà esserci il nero puro laddove la foto non è esposta, cioè nelle zone dove la pellicola è della stessa densità del caratteristico fondo arancione del negativo, e che i colori siano esattamente i complementari di quelli sul fotogramma, a meno di questo fondo. Ma come facciamo a farglielo capire?

 

Come fare?

Innanzitutto bisogna imparare ad osservare il negativo e a giudicare la foto da esso. Solo allora decideremo se è il caso di far stampare quel fotogramma e sapremo dare al laboratorio le indicazioni giuste per riprodurlo come vogliamo noi.

Eventuali errori reali di sovra-esposizione o sotto-esposizione della foto vanno giudicati dal negativo stesso, non da una sua riproduzione. Dobbiamo anche imparare a osservare i veri colori, che dovrà avere la stampa, già sulla pellicola: dobbiamo cioè imparare a “vedere in negativo”. I colori sui film negativi sono sempre poco contrastati per via dell’intenso arancione dell’emulsione. Per le prime volte potrebbe essere d’aiuto lo schema in figura 2, dove è rappresentata una tavola di colori come appare su una stampa e su una pellicola negativa.

Fig 2: Ecco come apparirebbe la tavola cromatica (a) su un negativo fotografico (b).

 


Fig 3: Negativo originale da cui sono state fatte le stampe della figura 1.

Un primo esercizio possiamo farlo sull’originale della precedente foto di Orione: la figura 3 è una scansione del negativo originale e vi si riconosce con una certa facilità l’arco di Barnard, la nebulosità attorno alla testa di Orione, la Via Lattea e possiamo anche vedere come il fondo cielo sia giustamente esposto. Dalla tavola cromatica deduciamo che sul negativo le nebulose rosse saranno verde pallido, mentre quelle blu saranno gialle; le stelle invece sono quasi bianche, e il loro colore sul negativo sarà più difficile da riconoscere perché molto scuro. Ad esempio: la Via Lattea a sinistra di Orione ha, sul negativo, un colore giallo cupo, perciò ci aspettiamo una Via Lattea chiara e leggermente azzurrina sulla stampa; mentre il fondo cielo, un po’ violaceo sul negativo, apparirá verde sulla riproduzione e questo è proprio il colore del fondo caratteristico della pellicola usata. Dunque, se la foto venisse stampata “esattamente come sul negativo”, verrebbe come in figura 4a, cioè con una leggera tonalità verde scuro sul fondo cielo, ma correttamente esposta e contrastata. Un laboratorio che ci desse questa stampa farebbe le cose per bene.

Così come è molto semplice sbagliare la filtratura e ottenere fondi cielo di diversissimo colore, è anche molto facile, col negativo, correggere la vera dominante della pellicola. Il residuo verde dell’Ektar 1000 si può infatti correggere con un leggero filtro magenta e ottenere la “stampa esatta” di figura 4b: confrontatela con la figura 1, non si sarebbe detto che la foto era così bella!

Tutto ciò non avviene per le diapositive, per le quali la stampa non differisce molto dal vero e non si può nemmeno correggere la dominante cromatica. Vediamo perché: se osserviamo un negativo in trasparenza, la zona dove passa più luce è il fondo cielo, mentre le stelle sono i punti dove la luce è completamente bloccata, perciò se in fase di stampa interponiamo un filtro, questo andrà a colorare la luce che passa attraverso le parti chiare, il fondo cielo appunto, ma non cambierà affatto il colore delle stelle o delle nebulose brillanti dove di luce ne passa di meno. Per le diapositive succede il contrario: una foto su ScotchChrome 400 non potrà esser corretta di molto dal suo fondo notoriamente blu-magenta, poiché in questo caso la luce passa nelle stelle e non passa nel fondo cielo: se usassi un filtro giallo per compensare il fondo, questo mi renderebbe gialle tutte le stelle (fig. 5).

Capiamo dunque che ogni immagine ha bisogno di una sua particolare filtratura ed esposizione per essere stampata correttamente; anche i provini a contatto sono da evitare per lo stesso motivo, poiché verrebbe data la stessa esposizione media per tutti i fotogrammi, nessuno dei quali perciò riprodurrebbe decentemente l’originale.

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Fig 4: Confronto tra una stampa “esattamente come sul negativo” (a) e dopo la filtratura del fondo verde caratteristico dell’Ektar 1000 (b).

 

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Fig 5: Diapositiva della costellazione del Cigno senza filtratura (a) e con filtro giallo complementare al blu-magenta della dominante cromatica (b).

 

 

Andiamo in stampa

Le foto astronomiche non possono essere trattate allo stesso modo delle normali istantanee: per farsi stampare bene una fotografia astronomica bisogna procedere per fasi.

Prima di tutto è opportuno trovare un laboratorio professionale dove ci stiano a sentire e non uno di quelli da un’ora, dove la gente si affolla ogni minuto con le foto della vacanza al mare, evitando però quelli più anonimi e sconosciuti che non garantirebbero un sufficiente ricambio degli sviluppi.

Inizialmente ci faremo stampare una foto di piccole dimensioni, che costi poco e che useremo come provino, ad esempio un 10x15 cm. Questa stampa avrà quasi certamente la filtratura errata. Scriveremo allora delle chiare indicazioni direttamente sul provino, come ad esempio: “questa zona deve venire nero puro”, “filtrare questo giallo fino a grigio neutro”, o “filtrare il verde e scurire di un diaframma”, decidendo queste correzioni sulla base di una preventiva accurata ispezione del negativo (fig.6). Con queste indicazioni un valido laboratorio dovrebbe essere in grado di stampare a dovere le nostre foto. Può accadere che la stampa ancora non sia perfetta al primo tentativo di filtratura, ma se in una successiva correzione ancora non si ottenesse il risultato voluto, sarebbe inutile perderci altro tempo: ci rivolgeremo ad un altro servizio!

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Fig 6: (a) provino di stampa con su scritte le indicazioni per la filtratura e (b) stampa finale ottenuta dallo stesso laboratorio
in base a quanto scritto sulla precedente.

 

In pratica, prima di avere la foto finale in formato 20x30 o più, per appenderla alla parete, ci toccherà spendere per almeno altre due stampe. Il provino finale comunque ci sarà sempre utile e sarà custodito insieme col negativo originale perché sarà necessario riportarlo come campione ogni qual volta ristamperemo la foto, altrimenti ci troveremmo a ricominciare tutto da capo! Diremo allora allo stampatore che la foto deve venire “come il provino” e se il laboratorio è buono ci darà certamente una stampa identica alla precedente. Se questo non avviene, non è un laboratorio adatto. Dimenticavo: è importante richiedere che i provini con le correzioni siano fatti dalla stessa macchina, o perlomeno sulla stessa carta, con cui verrà stampata la foto finale in grande formato, altrimenti anche qui potrebbero esserci delle differenze.

Alcuni ingranditori professionali scrivono automaticamente sul retro della stampa un numero che rappresenta la filtratura utilizzata: non facciamoci ingannare! Potremmo pensare  che sia sufficiente dare al laboratorio, assieme al negativo, il codice della filtratura per ottenere una stampa corretta: se il negativo è lo stesso e la filtratura pure, la stampa dovrebbe venire uguale! In realtà ogni nuovo rotolo di carta fotografica ha una sensibilità cromatica differente, perciò se il laboratorio usasse quella filtratura non otterrebbe comunque lo stesso risultato. Il metodo della stampa campione è dunque l’unico!

Le stesse operazioni vanno fatte anche per le diapositive; è vero che non si può intervenire molto sul colore, possiamo però giocare sull’esposizione, e anche qui carte differenti hanno sensibilità differenti.

 

Ulteriori accorgimenti

Il laboratorio fotografico non va scelto unicamente in base alla bontà dell’esposizione e della filtratura, ma deve essere ulteriormente selezionato controllando la qualità della stampa stessa e della pellicola originale che ci vengono restituite.

Molto spesso capita che le stampe dei laboratori, anche professionali, non siano perfettamente messe a fuoco, o peggio che gli obiettivi degli ingranditori usati abbiano aberrazioni ottiche. Non è semplice accorgersi di questo alla prima occhiata, ma quando si ha più esperienza si diventa esigenti. La qualità della messa a fuoco va visionata sulla grana della pellicola, che in quest’occasione ci torna utile. In figura 7 vediamo le scansioni di due piccole porzioni di stampe 20x30: si tratta di una rotazione in Polare su diapositiva ScotchChrome P800-3200. La prima immagine si riferisce alla stampa sfocata e la seconda a quella perfettamente a fuoco, effettuate da due diversi laboratori: la grana di quest’ultima è visibilmente molto più nitida della precedente e notiamo perfino come le tracce stelllari indicate con A e B sono ben distinte, mentre nell’altra si confondono tra loro. In questo caso la sfocatura non è notevole, ma è quanto basta a fare la differenza tra una stampa buona e una perfetta, e la perdita in nitidezza dell’immagine nel suo insieme è più evidente di quanto si pensi.

a b

Fig 7: Le tracce stellari indicate su queste due scansioni mostrano quanto sia importante la perfezione della focheggiatura in fase di stampa:
queste stampe fatte da due diversi laboratori illustrano molto bene il problema; (a) stampa sfocata, (b) stampa a fuoco.

 

Per le stampe da diapositiva poi, molto più che per il negativo, c’è un ultieriore problema che fa sì che queste non vengano mai esattamente identiche alle diapositive di partenza. Spesso, e non solo per i soggetti astronomici, si ottengono stampe in cui contemporaneamente le zone chiare sono sovraesposte e quelle scure sottoesposte. Non è un errore di esposizione: l’immagine è mediamente esposta nel modo corretto, ma la differenza di luminosità tra le zone più chiare e quelle più scure che si ha in una diapositiva può essere molto superiore a quella che la carta sensibile è in grado di riprodurre (detta latitudine di posa). Ciò è meno importante per il negativo perché quest’ultimo ha una trasparenza massima pari alla densità del fondo arancione dell’emulsione, mentre nelle zone più chiare la diapositiva è totalmente trasparente. Perciò se abbiamo una nebulosa con ampie differenze di luminosità, ad esempio la nebulosa di Orione, possiamo stamparla esponendo bene il fondo cielo e mettendo in evidenza le nebulosità più evanescenti ed esterne della nebulosa, perdendo del tutto la parte centrale, oppure possiamo dire al laboratorio di stampare più scuro in modo da esporre bene il centro, non curandoci delle nebulosità esterne. E’ in ogni caso impossibile far venire contemporaneamente bene le due parti della foto.

A questo non c’è gran rimedio da porre, si possono al massimo provare carte fotografiche differenti per vedere se ce ne sono altre con contrasto minore, ad esempio la carta Cybachrome della Ilford ha un contrasto superiore alla Kodak Radiance, e la carta lucida ha un contrasto leggermente superiore a quella opaca, ma le differenze sono veramente minime.

Una volta imparato a selezionare le fotografie direttamente dagli originali diverremo più esigenti e stamperemo in grande formato solo le poche foto che riterremo perfette, allora non sarà certo il caso di spendere tempo e soldi per fare i provini se poi la nitidezza lascia a desiderare. Il laboratorio da cui ho stampato la rotazione in Polare è professionale, eppure continua a darmi stampe imperfette per le diapositive; però è il migliore che ho trovato per quanto riguarda i negativi: nitidezza perfetta, riproduzioni successive perfettamente identiche alle foto campione e ottima comprensione delle mie indicazioni sulla filtratura.

Alla fine quindi ci serviremo di più laboratori differenti, uno per i provini veloci da 10x15, magari anche quello da un’ora sotto casa, per avere un’immagine di partenza su cui indicare le filtrature, un secondo laboratorio che ci stampa bene i negativi in grande formato, e un terzo laboratorio che avremo scelto per le stampe da diapositiva.

Altro problema da ricordare: quando si fa sviluppare una pellicola astronomica, è bene richiedere di non tagliare mai il negativo e non montare le diapositive sui telaietti, ci penseremo noi a farlo con cura: potremmo vederci restituire una pellicola tagliata proprio a metà della foto più bella, e vi assicuro che è più frequente di quanto si creda. Questo succede perché i negativi astronomici hanno il fondo chiaro e non è facile, per chi non vi è abituato, capire dove finisce l’inquadratura. Inoltre, visto che in una notte astronomica non si finisce mai un rullino intero, capita spesso di riavvolgerlo per usarlo nuovamente la volta successiva, scattando a vuoto le foto già fatte, ma in tal modo si modifica la spaziatura con le foto precedenti, e allora se il macchinario che taglia la pellicola è automatico il rischio che ci rovini una foto è notevole.

Anche la pulizia della pellicola che spesso presenta tracce di calcaree o peggio graffi o impronte digitali, sarà per noi motivo per scegliere il laboratorio. Dobbiamo notare se la pellicola non tagliata ci viene restituita in una protezione di plastica oppure no, così come è bene osservare che la foto sia stata adeguatamente inquadrata e rifilata: spesso accade che venga ingrandita troppo e che si perdano le parti estreme dell’inquadratura o che la stampa non venga tagliata bene e ci tocchi ulteriormente rimpicciolirla, con i relativi problemi se vogliamo metterla in una cornice a giorno. Attenzione però che graffi longitudinali lunghi per tutta la pellicola potrebbero essere  causati non da incuranza del laboratorio, ma da particelle di polvere nel dorso della macchina fotografica durante le nostre operazioni di riavvolgimento: riutilizzare più volte la pellicola è quindi sconsigliabile, meglio farla tagliare subito e far sviluppare solo la parte esposta.

Alla luce di tutto questo sarà forse il caso di rivedere i vecchi negativi e mettersi alla ricerca dei “laboratori di fiducia”: chissà che nei nostri cassetti non ci sia una bellissima foto che non sappiamo di possedere? Ci vorrà un po’, ma i risultati non tarderanno ad arrivare.